La passione per il Marocco ha avvicinato l’artista ai manufatti che sposano in maniera naturale il suo stesso concetto d’arte e di colore.
Nell’immagine: “Ragazze in giardino” – Henri Matisse 1919
Continua il nostro percorso legato alle curiosità del tappeto orientale e ai personaggi che ne decretarono il successo, tra passione estetica ed ossessione personale. Il grande Matisse (Henri Émile Benoît Matisse Le Cateau-Cambrésis, 1869 – Nizza, 1954) svolse per decenni l’attività pittorica nel proprio atelier trasformato in un autentico contenitore d’arte islamica a testimonianza della radicata passione per la cultura orientale, per il Marocco e per i relativi manufatti tessili. Matisse fu certamente fra i più noti artisti del ventesimo secolo, nonché esponente di maggior spicco della corrente artistica del Fauvismo. Osservando con attenzione le innumerevoli opere del maestro, possiamo cautamente parlare dei “tappeti di Matisse”, sorta di filo conduttore presente in maniera differente nelle numerose rappresentazioni in cui il colore brilla per la propria forza espressiva. Già nel XV° secolo Lotto e Holbein il giovane ritrassero con straordinaria precisione i manufatti tessili anatolici; Matisse, secoli dopo, li rappresentò alla sua maniera, idealizzandone grafica e forza espressiva. La passione per il Marocco lo avvicina a manufatti tessili che in maniera naturale sposano il suo concetto d’arte e soprattutto di colore. Matisse accumulò oggetti artigianali, le loro emozioni e i ricordi, per poi elaborarli nello studio di Nizza.
L’artista ravvisava nei tappeti orientali un magnifico laboratorio per sperimentare l’uso del colore. Nei propri dipinti ritraeva soggetti di tipo floreale stilizzato, con colonne di medaglioni geometrici; compaiono anche piccoli esemplari di arte povera, riconducibili a manifatture nomadi. Va ricordato che il Marocco, all’inizio del 1800, divenne rifugio dell’aristocrazia cacciata dalla Spagna che portò con sé splendidi manufatti realizzati in patria, tra i quali spiccano i tappeti di Cuenca e di Alcaraz. Tecnicamente meno preciso dei coevi prodotti persiani oppure turchi, il tappeto urbano presentava un effetto visivo meno definito. Evidente l’ispirazione alla produzione anatolica del 1800 ed ai tappeti dell’Egitto mamelucco. Il tappeto marocchino “arrivò” a Matisse in maniera diretta, grazie alla sua genuinità e ad un istintivo utilizzo di colori contrastanti ed inconsueti. È possibile ritenere che per Matisse il ricorso all’arte orientale portò ad un tormento che contrapponeva l’esaltazione del volume di ogni elemento dipinto al sistematico appiattimento totale dello stesso, adottato ed imposto dall’arte orientale. Alle motivazioni tecniche si affiancavano quelle religiose che “impedivano” all’artista di rappresentare gli oggetti e gli esseri viventi in maniera troppo realistica.
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arch. Jim Lo Coco
Consulente Tecnico del Tribunale di Brescia nel settore tessile è docente di storia e tecnica del tappeto orientale presso la SCUOLA REGIONALE PER IL RESTAURO Enaip. È titolare della storica azienda di famiglia.
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