camilleri de mauro dentrocasa febbraio 2014
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CHE LINGUA PARLI?

07/02/2014

Fra italiano, dialetti e pluralità culturali. Il nostro Paese a confronto con i cambiamenti linguistici dell’ultimo secolo.

La lingua batte dove il dente duole – Andrea Camilleri – Tullio De Mauro – Laterza

Dillo in italiano. Dillo in dialetto. Ma dillo soprattutto dando voce al tuo sentire. Nel nostro Paese, ancora oggi, è difficile riconoscere una lingua comune.Malgrado la scuola dell’obbligo e le disparate risorse tecnologiche, l’apprendimento dell’italiano rimane ostico, tanto che spesso gli si preferiscono varianti più “locali”. Per nominare una cosa infatti non basta utilizzare il termine corretto, magari rifacendosi al vocabolario: è importante invece scegliere la parola che meglio riesce a trasmettere le sfumature volute. Ma se non si padroneggia pienamente la lingua l’operazione può risultare lunga e complicata: da qui il ricorso al dialetto, al vocabolo pronto-uso difficilmente sostituibile con qualcosa di pari effetto. Il quadro è chiaro: l’italiano fatica a decollare davvero fuori dagli ambienti più colti, soffre ancora la concorrenza del dialetto e patisce anche l’aggressione di ingerenze straniere. Come fare quindi a “salvarlo”? Trasformando le incursioni delle altre lingue in una opportunità di arricchimento. Lo sostengono Andrea Camilleri e Tullio De Mauro, autori del saggio “La lingua batte dove il dente duole” nel quale inscenano un vivace dialogo a due con numerosi rimandi a esperienze personali di vita e di studio. Entrambi concordano sul fatto che l’italiano corrente deve staccarsi dalla lingua “inamidata” appresa a scuola (almeno un tempo) e che d’altro canto non deve nemmeno cedere a tutti gli anglismi propinati in TV o via Internet. Serve il giusto mezzo: una strenua salvaguardia della propria origine accompagnata da un’apertura mentale verso le novità più importanti. Meglio invece non incappare nella tendenza ad addolcire alcuni termini (l’esempio classico è operatore ecologico al posto di spazzino) che, sostengono sempre gli autori, costituisce solo un discutibile risarcimento semantico. E meglio anche non cadere nella trappola di usare termini a sproposito, magari per seguire il trend del momento ma senza comprendere fino in fondo il significato di ciò che maldestramente si pronuncia. Il dialetto è destinato a rimanere una riserva di autenticità, la lingua degli affetti e delle emozioni più forti, e il suo impiego resta addirittura necessario in situazioni di particolare pathos emotivo. Sbagliato dunque metterlo al bando, così come sbagliato sarebbe confrontarlo costantemente con l’italiano “ufficiale”. Lo stesso Camilleri non iniziò a scrivere in italiano “puro” perché sentiva che la lingua non gli apparteneva pienamente. E, visto il successo ottenuto, come dargli torto…

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di Stefania Vitale

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