A Palazzo Reale di Milano un inedito confronto fra il pittore americano e i generi che l’hanno ispirato nell’elaborazione del suo linguaggio simbolico.
Nell’immagine:KH-Untitled 1986
La scena urbana concepita come laboratorio di sperimentazione. Uno stile che fa leva sull’immediatezza del linguaggio per veicolare messaggi di solidarietà ma anche dissenso. L’arte di Keith Haring approda a Palazzo Reale di Milano con una mostra evento che comprende 110 opere, tra le quali molte inedite o mai esposte in Italia. Obiettivo della mostra è mettere a confronto la ricerca espressiva del writer americano con le diverse fasi della storia dell’arte internazionale, rendendo il giusto valore al suo studio. Si toccano quindi l’archeologia classica, gli archetipi religiosi e le maschere del Pacifico, fino ad arrivare ai grandi maestri del Novecento, da Pollock a Klee, ma anche la TV e il mondo dei cartoons. Inglobare le diverse forme espressive in un alfabeto unico e personale per poi crearne un genere: questo l’obiettivo di Haring. E da qui anche il tema della mostra milanese “Keith Haring. About art”, appunto, che sottolinea il rapporto trasversale con tutti i generi.
Nato in Pennsylvania nel 1958 e morto a New York nel 1990, viveva l’idea di un’arte a disposizione di tutti, dislocata quindi al di fuori degli spazi convenzionali, come musei e gallerie, e anche staccata dalle logiche del mercato. Il suo linguaggio intuitivo e apparentemente giocoso è divenuto quindi universalmente riconoscibile grazie ad una simbologia che fa leva sul colore e sulla semplicità dei tratti. Haring dà voce ad un disagio, ma lo fa con la fa con strumenti gioiosi, alla portata. Anche i supporti diventano molteplici: dai muri delle città alle carrozzerie delle auto, ma anche vestiti e materiale di recupero, tutti incredibilmente popolati da immagini stilizzate: bambini, animali, alberi, televisori. Perché felicità e riflessione viaggino su binari comuni…
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di Stefania Vitale
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