ARMIDA gandini-SETTEMBRE-2017
ARMIDA gandini-SETTEMBRE-2017

ARMIDA GANDINI, LINGUAGGI A CONFRONTO

A colloquio con l’artista bresciana sulle diverse prospettive del suo iter creativo.

nell’immagine: “Progetto mi guardo fuori” dal 2013 (particolare).

Conosco Armida Gandini, artista bresciana, sin dai tempi dell’accademia e ho seguito passo passo la sua evoluzione fino alla maturità.

Armida vive e lavora a Verolanuova e da sempre il tema dell’identità è in primo piano nelle sue opere, che si sviluppano mediante linguaggi diversi come la fotografia, il disegno, l’installazione e il video. Ora che è un nome affermato, quasi con un po’ di soggezione, le rivolgo qualche domanda per illustrare il suo percorso.

Quali sono le tappe che ritieni più significative della tua ricerca?

“Con il progetto Il bosco delle fiabe del 1999 si definisce il mio marchio stilistico, quello della stratificazione, che è anche il punto di partenza per passare dal collage digitale al video d’animazione. Noli me tangere del 2007 è il primo lavoro nel quale il disegno si sovrappone alla ripresa filmica di una figura che si muove in un limbo bianco: un luogo senza coordinate spazio- temporali che contestualizzo con i miei segni. Negli ultimi anni il concetto di relazione si è esteso con i progetti che omaggiano le figure delle Madri e dei Padri della cultura”.

armida gandini settembre 2017
Armida Gandini
“Noli me tangere” installazione presso il MAGA di Gallarate, 2009

Avventurarsi seguendo le tue coordinate permette un viaggio attraverso opere molto diverse tra loro…

“Sì, è così. Ho una propensione ad affrontare il progetto da prospettive diverse, anche dal punto di vista linguistico; se il disegno è alla base del mio modo di lavorare spesso il processo sconfina nella fotografia e nel video. Indagare una tematica attraverso strumenti diversi è un modo per condurre una riflessione che diventa allestimento in uno spazio”.

Prima citavi le Madri e i Padri: quali sono i tuoi modelli culturali?

“La narrativa e il cinema sono stati fondamentali per la mia formazione. Un modo di vivere tante vite, di fare molti incontri. Ma per me è anche una sorta di dialogo con personaggi che mi insegnano ad interpretare i sentimenti. Spesso i miei lavori hanno una matrice letteraria, in particolare potrei citare Dostoevskij, Jane Austen, Éric Rohmer, che raccontano caratteri: mi interessano gli uomini, le loro reazioni interiori, i loro gesti”.

Gli elementi delle tue opere derivano dal tuo universo personale?

“Io preferisco partire dalla mia esperienza per parlare di cose che hanno un respiro più vasto. La relazione con l’esterno è inevitabile, ma lo sguardo sulla cronaca non è sufficiente, così come il fatto contingente. Non credo ci si debba sforzare di essere i cronisti della contemporaneità perché lo si è per principio”.  

 

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di Gianbattista Bonazzoli
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