MARCO PALADINI, NEL GIARDINO DELLA MEMORIA

L’arte e la vita in un confronto appassionato finalizzato a immortalare la bellezza.

Marco Paladini è nato a Genova nel 1955 e attualmente vive e lavora a Gargnano, sul Lago di Garda. Lo conosco fin dagli anni Ottanta, quando vidi per la prima volta i suoi lavori nelle sale “Cacciadenno” sotto la cura del giovane critico Mauro Panzera, che all’epoca faceva esporre artisti coetanei in cerca di spazi alternativi, non vincolati a gallerie riconosciute e al mercato dell’arte.

Erano anni di grande fermento. Cercavamo un posto nel mondo dell’arte e proprio da quello spazio periferico sono passati molti artisti ora riconosciuti sul mercato nazionale.

• Cos’è per te l’Arte nel percorso di una vita?

“Se me lo avessi chiesto qualche anno fa, avrei sicuramente risposto in modo diverso da oggi. Allora la mia attenzione era tutta sulla fedeltà alla pittura e a quella specificità che ne caratterizza il linguaggio. È comunque curioso che questa intervista venga da una rivista come DENTROCASA”.

• Perché? Spiegati meglio…

“La casa e le case in cui ho abitato sono sempre state anche lo spazio creativo nel quale ha preso vita e si è sviluppata tutta la mia attività di pittore. Case-nucleo famigliare, con tutto il relativo romanzo di narrazione e con tutte le dinamiche esistenziali parentali, che hanno trovato sempre l’humus culturale di ispirazione nell’immediato spazio circostante del giardino.

Con la casa che abito attualmente, e soprattutto con il suo giardino, oggi ho un dialogo continuo in cui ritrovo la memoria affettiva, che mi assale e mi inonda quando riprendo in esame i conflitti, da un lato con mio padre e dall’altro. Così le piante che curo o il prato che falcio assurgono a surrogato di quegli stessi conflitti e come sintesi del ciclo della vita”.

• È l’antico confronto tra Arte e Vita?

“Certamente. Oggi l’Arte mi sembra sia stata sempre la volontà di perpetrare quello che si definisce il conflitto tra Natura e Cultura, nel tentativo di immortalare la bellezza in un tempo che non conosca la consunzione e il dissolvimento, per rimanere/ essere cristallizzato in quell’eternità che non concepisce la morte.

Credo di avere inconsciamente sempre saputo che sarebbe stato così ma, solamente ora che coloro che mi hanno dato la vita se ne sono andati, tutto quello che ho fatto assume tale significato, cioè scongiura la morte. E così tutti i miei ritratti, dagli autoritratti ai volti delle persone a me care, mi si presentano come l’assolvimento di questa seppur illusoria funzione”.

 

marcus.paladynylor@gmail.com

 

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di Gianbattista Bonazzoli
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