Una disamina lucida e “distaccata” tra reportage e opera letteraria
A passeggio per Berlino – Joseph Roth – Passigli
Joseph Roth, celebre cantore dell’ultimo atto dell’epopea asburgica, è un osservatore illustre del suo tempo. Sotto i suoi occhi scorrono rapide le evoluzioni di una società in continuo fermento di cui riesce a immagazzinare comunque ogni peculiarità. In questo libro, scritto in occasione del suo trasferimento a Berlino nel 1920, Roth miscela a dovere curiosità e ironia lasciandosi scivolare nello stupore per il mai visto senza però dimenticare mai il proprio ruolo di osservatore e “critico”. Il libro oscilla quindi fra il reportage vero e proprio e lo scritto d’autore. Le finezze stilistiche, condite col sapiente ricorso alla figura retorica, contribuiscono a rendere più accattivante il contenuto della narrazione. Come una storia letta da un fine dicitore: ad ogni intonazione della voce corrisponde infatti una diversa sfumatura descrittiva. Il lettore è trascinato così per le vie di una città che ha voglia di proiettarsi sulla vita. Non si può non solidarizzare con Roth nello scoperchiare la bellezza del progresso, spesso affascinante quanto vacua. La bizzarria dei personaggi, ma anche l’impatto dei luoghi “luccicanti” di sviluppo e le nuove tendenze, da un lato ammaliano e dall’altro cancellano impietose le vestigia del passato. Per lo scrittore la scoperta si fa disincanto, per non dire timore, quello di perdere le tracce di identità delineate a fatica nei solchi della storia. Gli stranieri che popolano Berlino, ad esempio, se contribuiscono ad importare tracce di diverse culture rappresentano anche, in realtà, il desiderio incondizionato di adattarsi alla “moda” del tempo e del luogo. L’innovazione attira e gli immigrati si spingono in città per sostare vicino ai negozi, ai bar, ai cinema e alla metropolitana. Ma non sempre imparare le abitudini occidentali è indice di civiltà. Roth è lungimirante nel trarre conclusioni che si riveleranno azzeccate sulla frenesia e le conseguenti distorsioni dell’industrializzazione del piacere. Sembra quasi di leggere un intellettuale del nostro tempo quando manifesta diffidenza verso il divertimento forzato, omologato al punto da ridurre gli uomini a caricatura di se stessi. Effetto simile è provocato anche dai grandi magazzini, architettonicamente estrosi quanto asettici, ricettacoli di un lusso senza sostanza nonché di inguaribili “povertà” interiori. Per ogni classe sociale esiste un benessere alla portata, un’illusione da comprare pronto-uso. Nella Berlino degli anni Venti alberga evidentemente anche l’Europa di oggi…
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di Stefania Vitale
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