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LUCIO MICHELETTI, L’UOMO HA BISOGNO DEL SUBLIME

18/04/2023

A confronto con il grande architetto milanese Lucio Micheletti: la sua filosofia, le finalità del progetto, le incursioni nell’arte.   

Racchiudere in qualche riga l’universo di Lucio Micheletti sarebbe complicato, oltre che estremamente riduttivo.

Sì perché il prestigioso architetto milanese è molto più di una firma di primissimo livello. La sua è una visuale che, muovendo dalla complessità del progetto, ne rivela al contempo l’essenza, avvicinandosi all’uomo come all’ambiente, fino a regalare un’interpretazione sempre creativa, responsabile e foriera di emozioni.

Merito della sua anima artistica, quella che ne ha illuminato gli esordi frequentando l’atelier del postimpressionista tedesco Edoardo Krumm, ma anche quella che, in diverse forme, trapela ancora oggi in ogni suo disegno.

Come un elemento imprescindibile, naturale, istintivo. Da qui anche lo straordinario slancio progettuale che porta l’architetto Lucio Micheletti a destreggiarsi con insolita disinvoltura in settori diversissimi, dall’automotive, al design, dall’architettura d’interni fino alla nautica.

Sempre con risultati d’eccellenza.

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Una versatilità che gli permette di accettare costantemente nuove sfide, misurarsi con l’evoluzione dei tempi e confrontarsi con interlocutori disparati.

Ma il segreto è proprio forse quello di individuare, nella diversità degli ambiti, le tracce di una filosofia d’azione che li accomuna eccezionalmente tutti.

Questione di equilibrio fra gli elementi in gioco e di percezione dello spazio, come ci spiega lo stesso Micheletti in questa intervista. Ascoltarlo è come assistere idealmente alla nascita di un suo progetto, dal concepimento alla realizzazione. 

“Nasco più come artista che come architetto – esordisce – e solo successivamente mi è stata data la possibilità di affrontare in modo più scientifico la mia attività. Mi sono laureato con Zanuso, ho seguito Castiglioni: questi sono i miei maestri, quindi per me è stato naturale ideare divani o pezzi d’arredo.

Poi ad inizio carriera mi sono rapportato ad un design più legato al motive e quindi mi sono spinto su concetti molto più complessi, quasi in contrasto con l’iniziale percorso artistico”.

La creatività però non è mai venuta meno, anche in ambiti più tecnici: “Sì, infatti la vita è come una regata. Ci sono delle boe e tu puoi scegliere se seguirle in forma retta oppure andare a cercare il vento. Io cerco il vento”.  

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Per Lucio Micheletti l’equilibrio è il leitmotiv di ogni progetto: “Fermo restando che l’architettura nasce per far vivere bene l’uomo, essa è un gioco fra vuoti e pieni: per fare un buon lavoro devi saperli mettere in equilibrio. E questo vale anche per concetti spaziale più ridotti: nell’ambiente automobilistico l’uomo è legato, in quello marino è bloccato”.

Nella ricerca dell’equilibrio progettuale l’architetto Micheletti sottolinea come sia imprescindibile rifarsi a due elementi in particolare…

“Ecologia e tecnologia. La tecnologia inizialmente mi spaventava molto, tanto che all’interno della Micheletti+Partners avevo realizzato una divisione chiamata Micheletti Sperimentale: una sorta di recinto dove mettere i progetti più audaci e monitorarne lo sviluppo economico.

In realtà quel settore non ha mai perso un euro: tutto quello che è stato pensato è stato sviluppato. Questo perché più il percorso è meditato, più l’obiettivo è centrato.

È fondamentale giocare in anticipo, vedere le cose prima degli altri: in poche parole, anticipare, guardare cioè a qualcosa che può accadere e che non necessariamente si avvererà. L’importante è prendersene cura in anticipo, aspetto chiave per comprendere l’identità di un progetto”.

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Alla divisione Sperimentale si è affiancata la divisione Ecologica: “Cito a tale proposito la Rubner, la piccola casetta in legno ispirata a Le Corbusier poi utilizzata per sperimentare la prima casa a idrogeno in Europa, montata in Tirolo”.  

Come affronta nei suoi progetti la questione dell’ecosostenibilità? “Design naturale non vuol dire per me limitarsi al rispetto di parametri sostenibili definiti.

È bene invece ispirarsi alla capacità della natura di rinnovarsi giocando con essa e con le sue movenze. In questa fase, per studiare tale concetto, mi ero messo a fasciare le piante di blu in modo da cambiare la percezione dell’ambiente.

Con una performance del genere, chiamata Blu Forest, ho anche partecipato alla 55^ Biennale d’Arte di Venezia. L’intento era quello di richiamare l’attenzione sugli alberi come esseri viventi, scatenando nuove riflessioni e facendo capire che ci sono e vanno protetti”.

Percezione è un altro termine chiave nella visione di Lucio Micheletti…  “All’interno di una barca, l’architetto, ad esempio, deve farti percepire il lusso e la comodità ma soprattutto la velocità di banchina: una sensazione che arriva anche se la barca è in realtà legata. È il concetto che deriva dalla velocità di garage grazie alla quale percepisci la velocità dell’auto”. 

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Quanto conta la figura umana nello sviluppo di un progetto? “La figura umana è sempre stata il centro del mio mondo, addirittura “esasperata” lavorando sull’ergonomia nelle auto, come ad esempio nel disegno dei volanti. A differenziare il ruolo dell’uomo all’interno di un progetto è la presenza o meno del movimento.

Il disegno di un oggetto, un’auto, una casa, o una barca sono accomunati cioè dallo stesso principio: partire dal movimento dell’uomo e dai suoi diversi punti focali. L’essere umano percepisce lo spazio dagli angoli.

Il segreto è lavorare sullo studio del percorso, sulle fughe ottiche e sulla luce. Più lo spazio è largo, più l’uomo si muove, più, di conseguenza, lo studio a livello spaziale si fa profondo”.

Il confronto con il committente o l’armatore le dà l’opportunità di rivedere step by step il progetto? “Sicuramente. Credo che l’architetto debba togliere un po’ di ego dal proprio lavoro.

Se il cliente esprime uno specifico desiderio, bisogna capire il perché, avvicinarsi al suo mondo e alle sue esigenze e affrontare così un percorso parallelo. In questo modo realizziamo case e barche uniche, tutte diverse fra loro.

Inoltre il confronto va fatto anche col mercato, cercando di capire in che direzione si sta muovendo, soprattutto se operi nel settore delle barche. Tutto, volenti o nolenti, è fatto per essere venduto.

Per questo è prezioso instaurare una sintonia con il committente ed essere in grado di colorare il suo sogno, che solitamente è in partenza confuso e in bianco e nero”.

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L’universo della nautica ha rappresentato per lei una nuova sfida? “Sì assolutamente. La barca va studiata per il mare, per le persone che ci vivono e per i paesaggi che incontri, che naturalmente variano. Ti orienti così su un design che opera per sottrazione, puntando all’essenza.

La vera sfida è che lo spazio diventi design, aspetto che in architettura è completamente diverso perché esiste un orientamento fisso e definito, un nord e un sud. Per quanto concerne invece il layout interno il legame con l’architettura rimane fortissimo. In casa, come sulla barca, l’uomo è in movimento e il luogo della barca è il movimento stesso.

Per disegnare uno spazio dentro uno scafo dobbiamo sempre tenere in mente lo studio del percorso, trasferendolo in una dimensione più ridotta.

Posizionare i tagli, le porte o i vani nelle murature in modo da avere una visuale molto aperta. Lavorare sul mare ti regala un senso spaziale unico: ti devi fermare ad ascoltare i silenzi e cogliere le sfumature.

Ovviamente poi in una barca intervengono anche aspetti più tecnici: la tuga, il pozzetto, il disegno della poppa, la timoneria… È necessario inoltre adottare un atteggiamento rispettoso verso la natura del luogo.

In barca il luogo diventa lo scafo, il volume tagliato per navigare. Qui non butti via le cose nell’acqua, le recuperi e aspetti il porto dove attraccare”. 

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Segue dei “rituali” quando progetta? “Inizio sempre la giornata bevendo un caffè e temperando una matita davanti ad un foglio bianco. La punta deve essere lunga e leggera e il foglio deve poggiare su un piano liscio, magari un tavolo di cristallo.

Questo, sia che mi trovi all’interno del mio studio, sia che mi trovi in trasferta. Adoro il silenzio, inteso come vuoto. Adoro anche scrivere…”.  

A cosa si dedica Lucio Micheletti quando non fa l’architetto? “Faccio sculture in marmo, fra il figurativo e l’astratto. sfruttando la mia capacità di disegnare e la mia indole artistica.

Penso che la vera bellezza non sia mai esuberante, chiassosa, ma sia piuttosto uno stato intimo di soddisfazione. L’uomo, a mio parere, ha sempre bisogno del sublime…” conclude.  

E come non sottoscrivere?

Ig @luciomicheletti
lmicheletti@michelettipartners.com 

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Stefania Vitale

Caporedattrice

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