Alla Casa dei Tre Oci di Venezia la più completa retrospettiva mai realizzata in Italia sul fotografo francese
nell’immagine: La Baule, 1979 © Ministère de la Culture (France), MAP-AAJHL.
La felicità è un fatto semplice. Un salto a toccare il cielo, una capriola nel vento.
La felicità è una cosa seria. Un’iperbole di bellezza in un mondo che fluttua in assenza di equilibrio. Come negli scatti di Jacques Henri Lartigue (1894-1986) che invitano a fermare il tempo nell’attimo che maggiormente si vorrebbe ricordare, imprimere, condividere.
A rendere omaggio al grande fotografo francese, nell’ottica anche della sua continua riscoperta, è la Casa dei Tre Oci di Venezia con la più ampia retrospettiva mai organizzata in Italia intorno alla sua figura. “L’invenzione della felicità”, questo il tema della mostra, è curata da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, nell’ordine direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue, e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci. Ad organizzarla è Civita Tre Venezie con la promozione di Fondazione di Venezia, in collaborazione con la Donation Jacques Henri Lartigue di Parigi e con il patrocinio del Ministero della Cultura francese.
Vi si ritrovano scene di autentica meraviglia, attinte da una quotidianità semplice e ricercata al tempo stesso, che non lascia spazio ad alcuna distinzione: un’umanità varia e “colorata”, quindi, persino nel rigoroso bianco e nero della stampa. Jacques Henri Lartigue mette a fuoco l’indefinito, “afferrando” con l’obiettivo incredibili attimi di sospensione e trasformando così un gesto semplice in un fatto miracoloso.
Il suo è un universo che oscilla tra scoperta e disincanto, vibrante di messaggi ondeggianti tra il sogno e la rincorsa della bellezza. Così è per le 120 fotografie esposte, provenienti tutte dagli album personali di Lartigue, dei quali tra l’altro sono presenti a Venezia alcune pagine fac-simile. Si assiste quindi ad una inedita testimonianza sul Novecento che il fotografo fissa in immagini di entusiasmo e di stupore, a esorcizzare addirittura la tragedia della guerra.
L’istante che si deve fermare sulla pellicola è dunque solo quello degno di essere conservato e pertanto anche tramandato: l’eleganza borghese e i grandi ritrovi mondani hanno la precedenza, ma Lartigue carica di equivalente fascino anche soggetti semplicemente in movimento, inneggianti di per sé alla vita, come i bimbi che giocano e rumoreggiano in strada.
Il successo in carriera arriva tardi, nel 1963: Lartigue, che si era dedicato anche alla pittura, ha quasi 70 anni e il neo direttore del dipartimento di fotografia del MoMa gli permette di esporre una personale nelle sale del museo newyorkese. L’opera di Lartigue riceve grandissimo riscontro e il successivo Diary of a Century, volume-raccolta, gli conferisce la definitiva consacrazione. Da qui anche le prestigiose collaborazioni nel mondo del cinema e della moda ad ampliare l’opera di un maestro distintosi anche nel campo dell’inquadratura.
La modernità e l’eclettismo sono la cifra stilistica dei suoi lavori. Come taccuini che annotano sguardi a scompaginare la realtà, dileguandone in un click i contorni più rigidi…
Fino al 12 giugno 2020
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di Stefania Vitale
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